Dal
pronto ritorno in A al 1960
BREVE INTERREGNO DI VASELLI
Tornata in modo fulmineo in serie A, la Roma decide di darsi un assetto adeguato
alla sua posizione e si impegna al massimo per far dimenticare ai suoi tifosi
e all'Italia sportiva intera «l'onta» della retrocessione. Renato
Sacerdoti comprende presto che alla testa della società occorre un
nome, un grande nome che susciti ammirazione e rispetto in ognuno. Non che
lui, Sacerdoti, non fosse all'altezza della situazione: ma è che, a
suo parere, nella Roma occorreva l'immissione di forze nuove, di energie inedite.
L'uomo fu trovato nella persona del conte Romolo Vaselli, uno dei più
forti e stimati costruttori della capitale. L'«Impresa Vaselli»
era celebre in tutta Europa. In Etiopia aveva costruito quelle strade che
tuttora sono la ricchezza del paese. Un nome di quella fatta avrebbe potuto
accendere i più incontenibili entusiasmi nel cuore di tutti i romanisti.
Renato Sacerdoti parlò al conte Romolo e riuscì a convincerlo.
Bisogna dire «riuscì», perché il grande industriale
mostrò parecchie titubanze nell'entrare in un ambiente a lui del tutto
sconosciuto. Comunque Romolo Vaselli disse finalmente «si» e la
sua elezione a Presidente Generale della Roma fu salutata da
tutti con molto calore. Presidente della Sezione Calcio naturalmente rimaneva
Renato Sacerdoti. Il conte Romolo si mise al lavoro con l'impegno e il rigore
che tutti gli conoscevano e riconoscevano. Quale consulente sportivo privato
scelse il figlio Erberto che lo assisteva anche nelle frequenti sedute del
Consiglio Direttivo.
Sennonché fin dal primo impatto con lo sconosciuto mondo del calcio
Romolo Vaselli capì che questo sport così come era concepito
ed attuato in Italia - non era fatto per lui. Il conte Romolo si può
dire che fu un precursore di quel calcio « industriale» che oggi
sembra essersi tanto affermato nella concezione prevalente. A quei tempi non
c'erano le S.p.A., a quei tempi le società sportive eran praticamente
in balìa di pochi «attivisti» che nelle Assemblee facevano
il buono e il cattivo tempo. Neanche oggi nel calcio due più due fa
rigorosamente quattro: immaginiamo allora, quando tutto era fatto alla garibaldina.
Per reggere il timone della Roma ci voleva gente con fantasia pronta a tener
testa a tutto quel particolare ambiente. Romolo Vaselli era troppo intransigente,
troppo rigoroso per tenere a lungo quel delicato incarico. L'occasione di
rinuncia venne quando il Consiglio decise di finanziare la società
attraverso un debito da accendere per mezzo di firme su cambiali e fidejussioni.
Romolo Vaselli si rifiutò. Disse che secondo lui non occorreva e quel
tanto che serviva lo dovevano anticipare tanto il presidente che il Consiglio.
La proposta trovò delle ovvie opposizioni e Romolo Vaselli abbandonò.
Toccò allora al solito Renato Sacerdoti di assumere anche la carica
di Presidente Generale.
Perché due cariche, Presidente Generale e Presidente della Sezione
Calcio? Perché la Roma era nata come Associazione Sportiva, come una
Società che rivolgeva le proprie cure non solo al calcio ma anche a
molti altri sport. Ad un certo punto però la proliferazione delle sezioni
portò ad una elefantiasi preoccupante. La Roma con la sua immensa popolarità
era una calamita per tutti gli appassionati.
Con il passar del tempo a questa espansione della Roma si oppose l'eterna
questione finanziaria. Anche i tempi erano cambiati, nel senso che il giovane
atleta non si accontentava più di quello che poteva passare il convento,
ma pretendeva il pane e spesso anche il companatico. Le sezioni della Roma
costavano parecchio. D'altra parte «quelli del calcio» premevano
perché tutte le risorse andassero alla loro sezione che poi in pratica
era quella che manteneva tutte le altre. Così a poco a poco le sezioni
vennero a scomparire.
Ma torniamo alla storia calcistica. Nel campionato 1954-'55 la Roma sotto la guida dell'allenatore Carver arrivò terza in classifica
finale. Un traguardo di tutto prestigio che la Società giallorossa
doveva riconquistare solo venti anni dopo. Il terzo posto eccitò la
fantasia dei romanisti. Ormai tutti vedevano aperta la strada verso il secondo
scudetto. L'inglese Carver, non si è mai capito il perché, risolse
il suo contratto con la Roma. In precedenza la stampa aveva indetto una specie
di referendum sul nuovo tecnico da assumere. Lasciandoli tutti a grande distanza
«vinse» Giorgio Sarosi, un celebre asso della favolosa Ungheria
degli anni '30. L'avvento di Sarosi, uomo tranquillo e sereno, recò
un grosso turbamento in seno alla Roma. Subito si formarono due partiti, uno
a favore di Sarosi e uno, non si sa perché, contro. A favore era il
costrutto re romano Augusto D'Arcangeli che nella sua qualità di consigliere
era addetto alla prima squadra. I «nemici» di Sarosi non avevano
un capo, erano disseminati un po' qua e un pò là.
Con Sarosi nel 1955-'56 la Roma arrivò sesta. Poi però nel campionato
successivo 1956-'57 precipitò al 14° posto. Giorgio
Sarosi veniva attaccato da tutte le parti. La squadra era ridotta una larva.
Il fondo fu toccato quando la Roma tornò da Vicenza con una durissima
sconfitta sulle spalle. Renato Sacerdoti riunì d'urgenza il consiglio
e nel corso di una drammatica seduta notturna propose l'esonero del tecnico
ungherese. Su questa decisione drastica ebbe grande peso quella parte del
Direttivo composta dai cosiddetti «giovani turchi». Erano sportivi
appassionati e scatenati che facevano pesare le loro idee quasi sempre in
maniera determinante. Renato Sacerdoti, pur facendo il possibile per calmare
certi bollenti spiriti, in pratica era sempre d'accordo con questi giovani.
A distanza di venti anni i giovani sono uomini maturi che hanno conquistato
nella loro vita posizioni preminenti. Ricordiamo Franco Sensi, entrato nel
consiglio giallorosso quando il padre, ingegnere Silvio, si ritirò.
Franco Sensi benché «ragazzino» era un pò il capo
spirituale di questa simpatica «banda» di giovani. In seguito
fu vice-presidente della società con Anacleto Gianni, presidente dopo
Sacerdoti. Oggi è uno degli industriali più apprezzati d'Italia.
Poi c'erano Angelino Ciampini, uomo d'affari di prim'ordine e Vincenzino Malagò,
un «asso» nel campo del commercio delle auto più prestigiose.
Sarosi dunque fu esonerato in tronco e toccò all'ufficio stampa della
società spiegare in un comunicato che la decisione era stata determinata
dal fatto che la signora Sarosi non gradiva l'aria di Roma.
In via temporanea al posto di Sarosi fu chiamato Gunnar N ordhal. La brusca
estromissione di Sarosi provocò una specie di trauma psichico nel comm.
D'Arcangeli che non solo stimava l'ungherese come tecnico, ma lo apprezzava
soprattutto per le sue rare qualità umane e morali. Intanto la Roma
dalla sede di Via del Quirinale era passata alla sede di Viale Tiziano. Il
comm. Augusto D'Arcangeli come Vice Presidente addetto alla prima squadra
aveva il suo ufficio personale in una vasta sala. Ebbene, dopo aver perduto
la prima battaglia su Sarosi, D'Arcangeli si rinchiuse nel suo ufficio quasi
estraniandosi dalla vita della società. Tanto allora incideva sugli
anfmi più semplici e più sensibili la pura passione per lo sport.
Il
"sor renato" lascia
Ai primi del 1958 Renato Sacerdoti dopo qualche periodo di degenza, decide
di sottoporsi ad un intervento operatorio. Un intervento alquanto delicato,
ma nè difficile nè pericoloso. E' durante questa sua permanenza
in clinica che il grande presidente prende la decisione, certo molto sofferta,
ma secondo il suo parere inevitabile, di lasciare per sempre la Roma, la «sua»
Roma. Chi è stato vicino a lui durante quegli anni può testimoniare
che non si è trattato di un colpo di testa, bensì di una decisione
meditata. Era già parecchio tempo che nella Roma del dopoguerra Renato
Sacerdoti stentava a riconoscere la Roma di un tempo. O meglio: non riconosceva
più il calcio di una volta il cui spirito lo aveva tanto affascinato.
Le società non potevano più reggersi sui criteri pionieristici
e dilettantistici di un tempo. Sacerdoti se ne rendeva conto, ma non per questo
accettava in pieno la nuova realtà. Il «calcio come industria»
era ben lontano dalla sua mentalità, dal suo modo di concepire lo sport.
Ai suoi amici diceva: «Per noi vecchi presidenti, è finita. Noi
non ci adatteremo mai a fare gli impresari alla Remigio Paone che ingaggiano
le "Blue Bells". Per noi lo sport è stato romanticismo, passione
schietta ed oggi non possiamo accettarlo come a!!are e come veicolo pubblicitario.
Ben vengano gli altri, perché noi ce ne andiamo».
La contestazione, sia pure riservata e moderata, di Renato Sacerdoti, non
si fermava qui. Essa coinvolgeva lo stesso pubblico che, a detta del grande
presidente, aveva ormai perduto molto della generosa sportività di
una volta. Non tollerava violenza alcuna contro gli avversari e questo era
normale: ma non accettava neanche che se fossero fatti segno a scherni e a
dileggi. Lo slogan romanesco del «e nun ce vonno stà» gli
dava un senso di fastidio fisico. Era troppo sportivo per non apprezzare il
fatto che l'avversario desse tutto in campo pur di evitare la sconfitta.
Neanche verso la stampa Sacerdoti era molto tenero. La accusava, e neanche
completamente a torto, di travalicare troppo spesso i confini posti dalla
stessa etica professionale per invadere campi privati e personali alla soglia
dei quali ogni buon giornalista dovrebbe sentire il dovere di fermarsi.
Geloso fino all'eccesso della propria dignità e del proprio prestigio,
Renato Sacerdoti ebbe a quel tempo più di uno scontro con il giornalista
Antonio Ghirelli che, da poco a Roma, cercava di mettere in mostra e far adeguatamente
apprezzare le indubbie qualità che arricchiscono il suo ingegno. Una
volta Ghirelli lo definì «vecchio squalo». Forse ancora
il nostro collega ricorda quale fu la veemente reazione del capo spirituale
della Roma. Di una sensibilità estrema, riprese duramente un caro amico
che gli aveva solo rivolto questa frase: «Quanto sei dritto».
Sacerdoti aveva trovato nel «dritto» l'allusione ad una astuzia
da quattro soldi che non avrebbe mai potuto riconoscere come propria.
Sacerdoti lascia la presidenza della Roma e indica al Consiglio come suo provvisorio
successore il Cav. del Lav. Anacleto Gianni, personaggio molto popolare a
Roma, uomo di prim'ordine e amante e sostenitore dello sport. Il Consiglio
naturalmente fu d'accordo e Anacleto Gianni subentrò a Renato Sacerdoti
in attesa di ratifica da parte dell' Assemblea dei Soci. Inutile dire che
la rinuncia del grande Renato fu accompagnata da espressioni di vivo rammarico
da parte di tutti gli sportivi romani.
Mentre Sacerdoti era insieme Presidente Generale e Presidente della Sezione
Calcio, Anacleto Gianni si riservò soltanto la Presidenza Generale
della società. Presidente della Sezione Calcio fu eletto dal Consiglio
Augusto D'Arcangeli.
Tutto sembrava procedere normalmente, quando un fatto nuovo creò una
situazione tesa in seno alla Roma. Il fatto nuovo fu rappresentato dall'ingresso
nella scena romani sta di Franco Evangelisti. Il giovane Evangelisti, romanista
da sempre, era a quell'epoca l'esponente più alto della Democrazia
Cristiana di Roma e del Lazio. Venne cooptato nel Consiglio giallo rosso dietro
la proposta di Augusto D'Arcangeli suo vecchio amico. Nell'ambiente ci fu
una notevole reazione a questa nomina perché una grande società
di calcio non annovera mai abbastanza «pezzi grossi» nelle sue
più rappresentative cariche.
Sennonché poco tempo bastò per rendersi conto di come l'ingresso
di Franco Evangelisti fosse stato propiziato dal comm. D'Arcangeli al fine
di mettere in difficoltàil neo-presidente Gianni e indur lo a dimettersi
dall'incarico. D'Arcangeli era un vecchio amico ed estimatore di Gianni, però
non lo considerava adatto al vertice della Roma. In realtà Anacleto
Gianni era tutto l'opposto di Renato Sacerdoti. Tanto autoritario questi,
quanto bonario e tollerante l'altro, tanto deciso e fermo Sacerdoti, quanto
accomodante e flessibile Gianni.
Vero è che neanche Augusto D'Arcangeli (che, forte dell'autorevole
appoggio di Franco Evangelisti, aspirava alla presidenza) poteva ritenersi
un epigono di Sacerdoti.
Ebbe luogo così una guerricciola a base di scaramucce del tutto futili,
ma che alla fine si risolsero con la sconfitta di Augusto D'Arcangeli. Anacleto
Gianni appoggiato in pieno dai «giovani turchi», volle assumere
anche la presidenza della Sezione Calcio e il Consiglio votò in questo
senso.
Siamo al '57-'58; salta fuori l'ex-milanista Busini, direttore sportivo e
con lui, non si sa come, da qualche parte viene fatto il nome di Alec Stock
come nuovo allenatore della squadra giallorossa. Di corsa fu fatto venire
in volo da Londra. Si dice che, ricevuto all'aereoporto dal Consigliere Angelo
Ciampini, rimanesse esterrefatto nel leggere la pubblicità dello «STOCK».
Non sapendo che si trattava di un noto cognac, ebbe un attimo il sospetto
che si trattasse di manifestazioni in suo onore. Stock comunque durò
poco. Innanzitutto si scoprì che !'inglese non aveva mai fatto il tecnico
di calcio ma solo il «direttore sportivo»; e poi non poteva colloquiare
con i suoi uomini perché privo di ogni conoscenza lessicale che non
fosse lo stretto linguaggio del Tamigi.
Toni Busini a quel punto credette opportuno di agire per evitare alla Roma
una magra terribile. Si doveva trovare ad ogni costo l'occasione buona per
far fuori Stock senza rimetterci una caterva di milioni. L'occasione venne
quando nell'incontro Napoli-Roma giocato al Vomero la squadra giallo rossa
scese in campo senza allenatore! Stock difatti si presentò a partita
conclusa (e sconfitta subita) dicendo che per errore lo avevano dirottato
sopra un altro treno. Le cattive lingue dissero che era l'esito di un piano
organizzato dal diabolico Busini; ma Toni ha sempre negato di esserci entrato
per qualche cosa. Il fatto è che la Roma prese la palla al balzo e
sui due piedi liquidò !'inglese.
Alla fine di agosto del 1958 la Roma parte per la Spagna dove partecipa al
famoso torneo Coppa de Carranza che si gioca a Cadice. Si incontrarono quattro
squadre: Real Madrid, Siviglia, Roma, Wiener. Tanto per far capire di che
si trattasse ricorderemo che il Real Madrid schierava da sinistra questa prima
linea: Gento, RiaI, Di Stefano, Puskas, Kopa. La Roma era guidata da
Nordhal che aveva sostituito pro tempore Sarosi. Tornata in sede la Roma (a
Cadice non fu fortunata e il trofeo lo vinse il Real Madrid), la presidenza
si cominciò a preoccupare della nomina definitiva del nuovo allenatore.
Di nomi se ne fecero tanti, anche perché nell'ambiente del calcio ognuno
crede di essere il depositario della verità.
Intanto però Augusto D'Arcangeli non rimaneva con le mani in mano.
Convinto più che mai che Giorgio Sarosi fosse l'unico allenatore adatto
alla Roma, tanto disse e tanto operò che stampa e Consiglio Direttivo
accettarono concordi di far tornare al suo posto il tecnico ungherese.
Per il bravo comm. D'Arcangeli quella fu una delle più belle giornate
della sua vita, anche se, conoscendo bene come era fatto il mondo del calcio,
avrebbe dovuto prevedere che di lì a poco lo avrebbe atteso un'altra
e 'piùcocente delusione. Infatti Sarosi durò pochissimo; altra
conferma, se pur ce ne fosse stato bisogno, che i ritorni non hanno mai avuto
esito felice.
Con voto unanime ancora una volta, sia della stampa che dei dirigenti, fu
chiamato a Roma Alfredo Foni, un nome senza dubbio prestigio so e pieno di
significato. Era stato un gran campione, era laureato, era una persona dalla
moralità ineccepibile. Ma non avrebbe lasciato traccia duratura.
Pare che col passar degli anni l'ambiente fosse tanto torrido da bruciare
una salamandra. Foni è ben visto in Svizzera. Quando lo pregano di
riposarsi non ne risulta affranto. E' un grosso filosofo. Tanto è vero
che, come vedremo, ritornerà. Per un altro breve soggiorno.
Al posto di Alfredo Foni venne chiamato Luis Carniglia, un argentino che aveva
allenato il Real Madrid dei tempi favolosi. Il suo avvento divise in due la
critica sportiva romana. I fedelissimi di Alfredo Foni gli si schierarono
contro, gli altri a favore. Naturalmente a pagare le spe"se di questi
dissidi interni non poteva essere altro che la Roma. Carniglia dimostrò
subito le sue grandi qualità. I «vedovi di Foni» allora,
non trovando altro pretesto per attaccarlo, dovettero limitarsi a farlo segno
dei loro strali ironici. Altri gli si scagliò contro perché
don Luis considerava Pedro Manfredini una palla di piombo al piede della prima
linea giallorossa.
Nonostante tutto, non solo il campionato condotto da Carniglia fu uno dei
più affascinanti della Roma, ma fece intendere che sarebbero bastati
un paio di ritocchi per creare finalmente la grande Roma da scudetto. Purtroppo,
invece, le faide interne erano in agguato. Carniglia veniva osteggiato, ma
soprattutto era combattuto il presidente Anacleto Gianni che schierandosi
dalla parte dei « giovani turchi» aveva acconsentito a liquidare
Alfredo Foni. L'attacco a Gianni si svolse all'insegna di questo slogan: «Basta
con il quinto posto!». Si voleva intendere che una grande società
come la Roma non poteva accontentarsi di un quinto posto ripetuto ogni anno.
Doveva assolutamente puntare allo scudetto. Per questo occorreva un presidente
che desse le garanzie necessarie. A quei tempi un cronista affidò la
sua fama al nomignolo applicato al presidente Gianni: «Anacleto V».
Oggi lo stesso cronista, con un presidente di più ampie e moderne vedute
(bisogna riconoscerlo) che non Gianni, sarebbe pronto a sciogliere inni di
gloria se la Roma riuscisse a terminare al quinto posto e ad inserirsi nella
favolosa «zona UEFA».
Bisognava così trovare l'uomo capace di scalzare Anacleto Gianni. E
fu presto individuato nella persona del conte Franco Marini Dettina, vice-presidente
di Anacleto Gianni e preposto alla prima squadra.
Un «
colpo di stato»
Va subito detto che Marini Dettina avrebbe potuto davvero essere l'uomo del
futuro giallorosso. Lo stesso Gianni se ne era accorto e per questo lo aveva
eletto in pectore suo «delfino» cioè suo successore. Ma
quando avrebbe dovuto succedere? Quando lo stesso Marini Dettina avesse portato
a termine la sua preparazione specifica, quando cioè si fosse impossessato
di tutti i segreti grandi e piccoli che sono connessi alla direzione di una
grande società di calcio. Questa esperienza Marini Dettina non l'aveva
ancora acquisita. E ne diede prova quando rispose con un incredibile sgarbo
ad un amichevole gesto della Federcalcio. Fu in occasione di HibernianRoma
in Coppa delle Fiere poi brillantemente conquistata dai giallorossi. Un altro
paio d'anni e Marini Dettina sarebbe stato l'uomo giusto per la Roma. Invece
i suoi sostenitori, di cui gran parte prezzolati, in odio a Gianni vollero
affrettare i tempi. Un paio di Consiglieri della Roma annusando il nuovo presidente
si misero a capo di una dura campagna di stampa contro Gianni. Sotto le loro
bandiere accorsero tutti i nostalgici di Foni e quindi nemici di Carniglia.
Insomma furono tenuti presenti gli interessi più disparati, meno quello
.che doveva essere il preminente: la Roma. Il Consiglio si spaccò in
due, i tifosi pure, abbacinati dal luccichio dello scudetto promesso dai sostenitori
di Marini Dettina.
Anacleto Gianni fu costretto a dimettersi; al suo posto venne per un brevissimo
periodo di tempo nominato un Commissario Straordinario nella persona di Augusto
D'Arcangeli. Subito dopo venne eletto presidente della Roma il conte Franco
Marini Dettina.
Una bella figura, Marini Dettina. Un vero gentiluomo, coraggioso ex-paracadutista,
sorretto da una notevole carica di ambizione. Pur di riuscire era pronto ai
maggiori sacrifici. Era l'uomo che ci voleva. Con la consueta disinvoltura
italica, molti degli amici di Gianni fecero una piroetta e si accodarono al
nuovo presidente. Solo i «giovani turchi» capitanati da Franco
Sensi rimasero fedeli e legati al vecchio presidente. Franco Evangelisti invece
divenne subito vice-presidente con Marini Dettina. Ma questo era normale,
visto che il neo onorevole era da sempre visceralmente ostile ad Anacleto
Gianni.
Tratto dal libro AS Roma da Testaccio all'Olimpico (libro edito
nel 1977)
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